Sirita, Vienna, van Ghelen, 1719

 ATTO PRIMO
 
 Sala.
 
 SCENA PRIMA
 
 SIVALDO, OTTARO, IROLDO; seguito di cavalieri danesi
 
 SIVALDO
 Principi, ho stabilito.
 Vedovo regnerò, finché la figlia
 pieghi il rigido core,
 sinor di acciaio, e ad imeneo consenta.
 OTTARO
5E se l’alma ostinata
 si fa di onore irrevocabil legge
 non mai legarsi a marital servaggio,
 vuoi tu, signor, che resti
 di legittimo erede orfano il trono?
 SIVALDO
10Disperar non conviene
 prima del tempo e dei lontani, incerti
 casi prendersi affanno.
 Giovane è ancor la figlia;
 e qual del sesso è l’uso,
15può ad un tratto cangiar voglia e pensiero.
 IROLDO
 Vagliati con Sirita
 esser padre e monarca.
 SlVALDO
 Violenti consigli amor non ode.
 Seco i preghi userò, che in nobil alma
20han più poter che le minacce e l’ire.
 Venga la figlia. Or voi
 traetevi in disparte. Ella d’ogni uomo
 fugge la vista, più che d’angue e mostro;
 e in me talvolta appena
25lascia cader, ma passaggero, un guardo.
 IROLDO
 A te il ciel sia propizio. (A Iroldo amore).
 OTTARO
 (Parlo a pro di Romilda e del mio core). (Si ritirano in disparte)
 SIVALDO
 Cor di re, cor di padre e cor di amante,
 di te si tratta. A quell’amor, che t’arde
30per la bella Romilda,
 frena il disio, tempra le fiamme e soffri.
 Austerità di figlia
 prima si espugni. Indi più chiare e belle
 per te accenda imeneo tede e facelle.
 
35   Core amante,
 ti consiglio a tolleranza
 con l’idea di un maggior bene.
 
    Imperfetto è quel diletto
 che non costa a la speranza
40un soffrir di lunghe pene.
 
 SCENA II
 
 SIRITA, SIVALDO. OTTARO e IROLDO in disparte
 
 SIRITA
 A te, padre e signor, qual sì per tempo
 mi chiama alto comando?
 SIVALDO
 Con sì timido aspetto
 al suo giudice offeso il reo non vassi,
45qual tu a me ti presenti, amata figlia.
 SIRITA
 Rispettoso dover leggi m’impone
 di figlia e di vassalla.
 SIVALDO
 Ma perché sì negletta? A che non prendi,
 quale a te si convien, l’oro e le gemme?
50Il ciel già non ti diede
 cotesto di beltà fregio gentile,
 perché tu l’abbia a vile.
 SIRITA
 Meglio saria che o più non fosse o mai
 stata non fosse al mondo
55questa nostra bellezza,
 del cielo infausto dono,
 rischio di chi ’l possiede,
 pena di chi lo vede.
 Anzi che farne pompa, ad ogni sguardo
60vorrei poter celarmi e al sole istesso.
 SIVALDO
 Semplice! A quanto in terra alma respira,
 diè natura il suo pregio,
 a chi nuoto, a chi volo, a chi ugne e denti,
 a chi celere corso,
65a l’uom senno e fortezza;
 a voi che diè? Bellezza,
 di mille lance e spade arma più forte,
 con cui vincete e valorosi e saggi.
 Folle! E tu l’esser bella,
70propria del sesso tuo lode e tesoro,
 stimerai tua vergogna e tua sfortuna?
 SIRITA
 Stimerò lode mia ciò che è mio acquisto,
 non ciò che è dono altrui. Grazia e beltade
 son beni a noi stranieri
75e di fragile tempra. Amar dovremmo
 più durevoli fregi, ornar sol l’alma
 di onestà, di modestia e d’innocenza,
 impor leggi severe a l’occhio e al labbro
 né mai dar fede ai sempre falsi amanti.
 SIVALDO
80Cotesta tua salvatichezza, o figlia,
 strugger vorrebbe il mondo e di natura
 tutte scompor le leggi.
 Ha virtù i suoi confini e, quando eccede,
 lascia d’esser virtù. Lodo il pudico
85core e l’indole casta;
 ma lodar non poss’io che tu sì schiva
 sia di onesto amator che a nobil sangue
 eccelso animo aggiunga e degno aspiri
 a l’onor di tue nozze...
 SIRITA
                                          Ah, pria col ghiaccio
90vedrai la fiamma e amar l’agnella il lupo.
 SIVALDO
 Perché nodo abborrir così soave?
 SIRITA
 Nodo servil, giogo penoso e grave.
 SIVALDO
 Fido imeneo fa i più felici in terra.
 SIRITA
 E discorde i più miseri.
 SIVALDO
                                              Mancarti
95può sposo, a cui ti unisca amore e fede?
 SIRITA
 No no, son tutti, o padre,
 di una tempra e di un cor. Già ne la mente
 fiso è ’l pensier, viver solinga  e sciolta
 a la mia libertade ed a me stessa.
 SIVALDO
100Solo a te stessa, o figlia,
 tu non sei nata. Al padre
 che ti diè vita, ai voti
 di un regno ancor nascesti. Ah! Se ’l mio affetto,
 se la memoria de l’estinta madre
105può nulla in te, cedi a’ miei preghi  e vinci
 le ingiuste ripugnanze
 che t’ingombran l’idea. Tu gli occhi abbassi?
 Tu non rispondi? Ah! Figlia, io da te questa
 mercede attesi o meritai? Mia morte
110vedrai ben tosto. Un troppo
 insoffribil dolor l’alma circonda,
 gemendo sconsolata
 tra un regno afflitto ed una figlia ingrata.
 SIRITA
 Qual aspra orrida guerra
115movi, o padre, al mio cor? Voler che a un tratto
 genio cangi, costume, abito e vita,
 egli è un voler che tutta
 me stessa uccida e in me rinnovi un’altra.
 Pur se tutto non posso
120dare a’ tuoi preghi, almeno
 tutto non si ricusi. A sì amoroso
 e benefico padre un tanto deggio
 sacrificio crudel. Sposa!... Ah! Che al solo
 pensarvi io tutta sento
125l’alma in gelo e sudor rappresa e sciolta;
 sposa mi vuoi? Si faccia.
 Sposa sarò; ma con qual legge ascolta.
 
    Quegli sarà mio sposo
 che primo un guardo solo
130sdegnoso od amoroso
 sappia involar da me.
 
    Tenti mill’arti e mille,
 frode, timor, lusinga,
 serva, sospiri, finga;
135e in queste mie pupille
 cerchi la sua vittoria
 e poi la sua mercé.
 
 SCENA III
 
 SIVALDO, OTTARO e IROLDO
 
 SIVALDO
 Principi, udiste. Un guardo
 a voi promette di Sirita il core.
 IROLDO
140Di tumido torrente
 più facile è inceppar la rapid’onda
 che un occhio femminil. Lubrico e vago,
 ei d’oggetto in oggetto
 vola, qual suole augel di ramo in ramo.
 SIVALDO
145E pur la Dania vide
 ne’ secoli già scorsi alme sì caste
 che, condannando a sì gelosa legge
 la licenza del guardo,
 schernir le insidie de’ sagaci amanti.
 IROLDO
150Questi di antica età rari prodigi
 favole or sono e puossi
 chi gli lodi trovar, non chi gl’imiti.
 SIVALDO
 Virtù sempre è feconda
 né mai per anni insterilisce o manca.
 IROLDO
155Mi accingo a l’opra; e pria che cada il giorno,
 farò sposo felice a te ritorno.
 
    Se non avrò da que’ begli occhi, ond’ardo,
 d’amore un dolce sguardo,
 l’avrò di sdegno e d’ira;
160e lieto poi sarò.
 
    E quai da torbid’austro aure tranquille,
 in quelle amabili, fiere pupille,
 amor da crudeltà nascer vedrò.
 
 SCENA IV
 
 SIVALDO e OTTARO
 
 SIVALDO
 Ottaro, o tu non ami o tu disperi.
 OTTARO
165Sire, minor mia pena
 poc’anzi era l’amar senza speranza
 che sperando or languir per gelosia.
 SIVALDO
 Di te troppo diffidi.
 OTTARO
                                       È cieco il caso
 che può farmi contento; e s’egli sempre
170fesse al merto ragion, non saria caso.
 SIVALDO
 Fabro sii di tua sorte.
 Usa ingegno e virtù. Voti felici
 per te forma Sivaldo,
 per te che la corona
175gli fermasti sui capo. Acquista un bene
 ch’io ti dovrei. Poi sul mio trono ascenda
 Romilda a te germana.
 Godrò dar questo testimon d’amore
 al suo bello, al tuo merto ed al mio core.
 
180   Degno è d’impero
 quel bel sembiante
 che regna altero
 sul cor di un re.
 
    L’aureo trono
185parrà più omaggio
 che pegno e dono
 de la mia fé.
 
 SCENA V
 
 OTTARO e ROMILDA
 
 OTTARO
 Romilda, o tu mi assisti o son perduto.
 ROMILDA
 Pende non da Romilda
190ma dal giro di un guardo il tuo destino.
 OTTARO
 Che? De’ miei casi omai ti giunse il grido?
 ROMILDA
 Può stare arcano in corte?
 Qual gittato in gran fiamma
 senza strepito e scoppio il verde lauro.
 OTTARO
195Sirita esser può mia.
 ROMILDA
 Lo so; ma lieve impresa
 non fia sedur due ben difese ciglia
 che l’uscio sono, ond’entra amor ne l’alma.
 OTTARO
 Deh! M’aita e consiglia.
 ROMILDA
200Odimi. A cor ritroso
 tre son le vie. La prima
 s’aprono i doni.
 OTTARO
                                Alma gentil gli sdegna.
 ROMILDA
 È ver; né ha forza in lei
 questo basso disio, più di quel ch’abbia
205per far crollar pianta robusta un lieve
 zeffiro che gli umili
 virgulti agita appena.
 Pur mano liberal prova è d’amore
 grande e cortese; e rifiutati ancora,
210scuoprono i doni il generoso amante.
 OTTARO
 Poco in questi confido.
 ROMILDA
                                            In zelo e fede
 metti tua spene. Ove sia d’uopo, esponi
 la tua per l’altrui vita.
 Un animo real mai non è ingrato
215né un benefico amor mai sventurato.
 OTTARO
 Per lei non temerò rischio e fatica;
 ma se ingrata e nemica ancor persista?
 ROMILDA
 Stringi per atterrarla arma più forte.
 OTTARO
 Qual mai?
 ROMILDA
                       Fingi disprezzo;
220vanta altr’amore. Gelosia, dispetto,
 onta, furor l’affolleranno intorno;
 e quel cupido sguardo,
 che avrà negato all’amator fedele,
 licenzierà dietro l’amante infido.
 OTTARO
225Facciasi; e poi se tanto
 amor, se tanta fede
 pietà dal fiero cor non anche impetra?
 ROMILDA
 Di’ che quel non è cor ma tronco e pietra.
 OTTARO
 Parto a tentar mia sorte, Appo la bella
230non si stanchi in mio pro la tua amistade.
 Col nodo di Sirita andran congiunti
 i tuoi regi sponsali; e tu dal soglio...
 ROMILDA
 Va’. Servirò al dover, non a l’orgoglio.
 OTTARO
 
    Un bel volto amai sinora
235senza speme e senz’affanno.
 
    Or con speme entrò nel core
 fredda smania e rio timore;
 e del vario incerto affetto
 odio il bene e sento il danno.
 
 SCENA VI
 
 ROMILDA
 
 ROMILDA
240Pensieri ambiziosi, io non vi ascolto.
 Un diadema real può farmi illustre
 ma non contenta. Iroldo
 è il mio fasto, il mio ben, la mia fortuna.
 Degna di tutta l’alma è sua beltade
245ma più sua fede. Un amator sincero
 val più d’ogni grandezza e d’ogni impero.
 
    Sprezzo un regno e sono amante
 di un bel volto e di un bel core.
 
    Ma se il cor trovassi infido,
250tosto il core ed il sembiante
 odierei del traditore.
 
 Galleria di ritratti.
 
 SCENA VII
 
 ALINDA e IROLDO
 
 IROLDO
 Sì, sue nozze otterrà chi de’ suoi lumi,
 sia d’amor, sia di sdegno,
 con merto o fraude, il primo sguardo ottenga.
 ALINDA
255Legge che è mio spavento.
 IROLDO
                                                  Esser può amica
 ad Ottaro la sorte.
 ALINDA
 Ottaro è la mia speme.
 IROLDO
                                            Ei porrà in uso
 col favor di Romilda arte ed inganno.
 ALINDA
 E tu in ozio starai stupido e tardo?
 IROLDO
260Non mi creder sì vil, diletta Alinda.
 Ma senza l’opra tua...
 ALINDA
 Iroldo, e che far posso?
 IROLDO
 Oggi, qual hai per uso,
 trar dietro l’orme di cigniali e d’orsi
265nel vicin bosco la real donzella.
 Ivi con mano armata
 la rapirò. La subita paura
 volger le farà un guardo al suo periglio
 e quel guardo sarà la mia fortuna.
 ALINDA
270Violento consiglio!
 IROLDO
 Lice, se giova.
 ALINDA
                             Irriti
 il padre.
 IROLDO
                   Nulla ottien chi tutto teme.
 La sorte è degli audaci.
 Ottaro esser può tuo, s’io di Sirita...
 ALINDA
275Non più. Cauto gli agguati
 disponi e l’armi. In breve
 trarrò la preda, ove l’attendi, al varco.
 Sol mai non cadde, in cui
 di strali armate e d’arco,
280viste non ci abbia errar la selva e ’l monte.
 IROLDO
 Come a quel duro cor la via ti apristi?
 ALINDA
 D’amor fingendo esser, qual lei, nemica.
 IROLDO
 Ma donde un tal consiglio?
 ALINDA
 Da un disperato amore.
285Ottaro, il cui bel volto (Accennando il ritratto di lui)
 qui spesso a vagheggiar vengo in quell’ombre,
 arde a’ rai di Sirita,
 qual io mi struggo a’ suoi. Spera il mio core,
 sinché il suo non è lieto; e de l’amica
290l’ire lusingo e a le ripulse applaudo.
 IROLDO
 Se con l’amore offendi;
 con l’odio e che farai?
 ALINDA
                                          Men grave oltraggio
 che tu con l’inconstanza.
 IROLDO
 Intendo, intendo. Una beltà schernita
295ti fa pietade. È ver, Romilda amai;
 ma per la sua beltà perder di un regno
 le speranze io dovea?
 
 SCENA VIII
 
 ROMILDA e li suddetti
 
 ROMILDA
 Sì, lo dovevi, ingrato, e non tradirmi.
 ALINDA
 Tue voci udì. (Ad Iroldo)
 IROLDO
                            Romilda...
 ROMILDA
                                                 Anch’io difesi
300da le lusinghe di un real diadema
 gli affetti a te promessi.
 Perché, perché l’esempio, anima vile,
 non seguir ch’io ti diedi?
 ALINDA
 Rimprovero che è giusto. (Ad Iroldo)
 IROLDO
305Romilda, io non mi sento
 un cor sì generoso. A sì gran prezzo
 io pur tua fede assolvo.
 Ambo amiam, tu in Sivaldo, io ne la figlia,
 un oggetto più degno.
310Bella è l’infedeltà che guida a un regno.
 ROMILDA
 Lo farò. Poi vedremo
 chi al regno troverà via più spedita.
 ALINDA
 Non perdona giammai beltà tradita. (Ad Iroldo)
 IROLDO
 
    Luci belle, un tempo amate,
315mi svegliate
 a pietà, più che a timor.
 
    Se vi cedo al ben di un regno,
 tanto sdegno in me perché?
 Dolce oggetto
320io pur fui del vostro amor.
 
 SCENA IX
 
 ROMILDA, ALINDA e SIRITA
 
 ROMILDA
 Anche lo scherno al torto? (Sta come in disparte pensosa)
 SIRITA
 Tolta, mia cara Alinda,
 a l’importuna turba degli amanti,
 te sol cerco, sol amo,
325te che di genio al mio conforme, austera,
 sovra ogni basso affetto
 t’innalzi e fuggi amore,
 peste de l’alme ed insanabil morbo.
 ALINDA
 Mostro e demone dillo e furia e Averno.
330Ma da cotesto insidioso male,
 come più schermirai l’alma pudica,
 se vi hai posto in custodia un solo sguardo?
 SIRITA
 S’oggi solo avvezzar volessi il ciglio
 a la briglia ed al morso,
335più difficil mi fora
 che feroce puledro
 regger nel corso ed addestrare al freno.
 Rende l’abito e l’uso
 piano anche l’arduo. Io, dacché appresi amore
340quanto sia falso e quanto l’uom bugiardo,
 fuori del padre, altr’uom non vidi in faccia.
 ROMILDA
 (Visto anch’io non t’avessi, iniquo Iroldo).
 ALINDA
 Prodigio sei del nostro sesso.
 SIRITA
                                                       Alinda,
 de la solita caccia
345si appressan l’ore. Oggi faremo al monte
 nobile e ricca preda.
 ALINDA
 Miglior ce ne assicura il vicin bosco,
 ove fiero trascorre irto cignale.
 SIRITA
 E là s’indrizzi il passo.
350Corri a prender tu l’asta, i dardi e l’arco
 e l’altre aduna... Ah, quella
 non è la mia Romilda? O quanto afflitta
 negli atti e nel sembiante!
 ALINDA
 Ed è sua pena un infedele amante.
 
355   Quel duolo, quel pianto, (A Sirita)
 quel pallido aspetto
 ti mostri un oggetto
 del ben che a’ suoi fidi
 dà il perfido amor.
 
360   Vezzose pupille, (A Romilda)
 sareste tranquille,
 se voi col mio esempio
 aveste difeso
 il misero cor.
 
 SCENA X
 
 SIRITA e ROMILDA
 
 ROMILDA
365(Vendicarsi convien, non più dolersi).
 SIRITA
 Quante volte, Romilda,
 lascia, ti dissi, il vaneggiar, che alfine
 non ne trarrai che pentimento e duolo.
 Felice Alinda in libertà di affetti!
370Tra innocenti diletti...
 ROMILDA
                                           Eh! Principessa,
 poco conosci Alinda.
 Altro è ’l labbro, altro il core.
 SIRITA
 Col dir male d’altrui crede ciascuno
 o scusar suoi difetti o ricoprirli.
 ROMILDA
375Vedi là quel che d’elmo (Mostrando il ritratto di Ottaro, appeso tra gli altri nella galleria)
 adorno il crin, grave di usbergo il petto,
 spira anche finto aria guerriera?
 SIRITA
                                                              Il veggo.
 ROMILDA
 Cui fuor de l’armi certa
 dolce traluce amabil grazia?
 SIRITA
                                                     Il veggo.
 ROMILDA
380Egli è, per cui la Dania
 sotto giogo stranier non langue oppressa.
 SIRITA
 Fu prode.
 ROMILDA
                     Egli il re Sveco
 sconfisse e uccise.
 SIRITA
                                    Invitto.
 ROMILDA
 (Con piacer lo riguarda).
 SIRITA
385Alcuno e’ fia de’ nostri
 passati eroi che a la presente etade
 rinfacciano viltade.
 ROMILDA
 Ei caro al re, caro a la Dania vive
 e più caro ad Alinda.
 SIRITA
390Questi è l’oggetto de l’amor di Alinda?
 ROMILDA
 Appunto; e spesso qui disio la guida
 di vagheggiar la colorita immago.
 SIRITA
 Qualche scusa è al suo error l’aver riposto
 in sì nobile oggetto il suo pensiero.
 ROMILDA
395(Beltà, che loda il finto, amar può ’l vero).
 Ma la misera langue
 non corrisposta.
 SIRITA
                                Eroe, che è nato a l’armi,
 può avvilirsi in amori?
 ROMILDA
 No, ma in amar Sirita ei più s’illustra.
 SIRITA
400Che? Romilda... L’invitto? Il vincitore?...
 ROMILDA
 Lo sprezzator di Alinda...
 SIRITA
 L’eroe che miro in quella tela impresso?...
 ROMILDA
 Ottaro che il re Sveco...
 SIRITA
 Amante di Sirita?
 ROMILDA
405Arde a’ tuoi lumi e a quei di Alinda è cieco.
 SIRITA
 Taci, Romilda. Ove ritrovo amante,
 più non ammiro eroe. Gli toglie amore
 grazia, fortezza e gloria,
 qual toglie ad aurea vesta
410atro liquor, che vi si sparga, il pregio.
 ROMILDA
 Nobil poc’anzi era l’oggetto...
 SIRITA
                                                       Eh! Mai
 oggetto più deforme io non mirai.
 
 SCENA XI
 
 Coro di cacciatori e di cacciatrici e le suddette; poi OTTARO con seguito di paggi, i quali portano ricchi arnesi di caccia sopra bacini d’oro e di argento
 
 CORO
 
    Amiche, in traccia
 di augelli e belve
415per monti e selve,
 piaceri onesti
 di libertà.
 
 SIRITA
 
    Ma stiasi in guardia,
 che il cor non resti
420preda infelice
 d’ingannatrice
 gentil beltà.
 
 OTTARO
 Regal vergine eccelsa,
 per virtù, per beltà, del secol nostro
425raro ed unico pregio...
 SIRITA
 Cerca favor la lode o tenta inganno. (A Romilda)
 OTTARO
 Il tuo padre, il mio re che di sé stesso
 più t’ama e più del regno...
 SIRITA
 Del re tu nuncio?
 OTTARO
                                   E servo.
430Te di seguir vaga scorgendo in caccia
 un piacer faticoso...
 SIRITA
 Degli ozi de la reggia a me più caro. (A Romilda)
 Segui. (Ad Ottaro)
 OTTARO
                Questi m’impose,
 per materia e lavoro,
435recarti illustri arnesi.
 SIRITA
 Veggansi, o mia Romilda, i ricchi doni. (Romilda va a prender un arco da un bacino)
 OTTARO
 Doni di padre a regal figlia.
 ROMILDA
                                                     In questo
 d’avorio e d’oro arco lucente e grave
 l’arte ha vinta sé stessa.
 OTTARO
440Stupido il grande osservo...
 SIRITA
 Parlo a Romilda; non risponda il servo.
 ROMILDA
 Vedi gli aurati strali (Prende da un altro un fascio di dardi)
 come vaghe han le piume e di qual tempra
 l’acuto acciar. Gloria è di morte e fasto
445uscir da sì be’ dardi.
 OTTARO
 Ma più gloria è de l’alme
 sotto un solo cader di que’ be’ sguardi.
 SIRITA
 Lusinghiero ed audace. (A Romilda)
 OTTARO
 Non fa torto a beltà lode verace.
 ROMILDA
450Ve’, che nobil faretra? Arte maestra (Prende un turcasso, eccetera)
 ne l’ebano lucente
 quindi Cintia scolpì...
 OTTARO
                                          Non mai sì bella
 che qui, dove somiglia a te che sei
 e più vezzosa e più crudel di lei.
 SIRITA
455Da amante e non da servo egli favella. (A Romilda)
 ROMILDA
 Vago è quindi mirar la diva istessa,
 tutta fisa nel volto
 del pastorello Endimion...
 SIRITA
                                                  Romilda,
 di Endimion? Del pastorel coteste
460son le sembianze? O quelle
 del prode? De l’eroe? Doni di padre
 cotesti a regal figlia?
 E chi li reca è servo? Ah! Riconosco
 l’inganno e l’ardimento. Odio del pari
465l’amante e i doni. Ei vada.
 E tu digli, o Romilda,
 che con armi sì vili
 le basse anime assalga e non l’eccelse,
 che abbandoni una speme,
470da cui sol ritrarrà pena e vergogna,
 e che è più lieve impresa
 un armato espugnar campo nemico
 che la ferma onestà di un cor pudico.
 
    Lasci gli amori
475e a coglier vada allori
 chi nacque a guerreggiar.
 
    Gloria sia d’alma forte
 vincer nemici in campo,
 non di due ciglia al lampo
480perdersi e vaneggiar.
 
 SCENA XII
 
 ROMILDA e OTTARO
 
 OTTARO
 Germana, abbiam sinora
 seminato in arena.
 ROMILDA
                                     Un vano sforzo
 non ti tolga l’ardir. Nel vicin bosco
 segui la bella. Ivi può offrirti il caso
485di che lieto restar.
 OTTARO
                                    Siami anche avverso,
 avrò almeno il piacer di rimirarla;
 né soffrirò che a quelle, luci, ond’ardo,
 rival si appressi e ne rapisca un guardo.
 
    Dissi al cor dal primo istante
490che beltà lo rese amante:
 «D’amar lascia o in te si avvezzi
 a penar la fedeltà».
 
    M’ubbidì; senza lagnarsi
 egli soffre oltraggi e sprezzi
495né lo stanca crudeltà.
 
 SCENA XIII
 
 ROMILDA
 
 ROMILDA
 Romilda, odio si deve al traditore.
 Ragion lo chiede; e sia
 l’odio tanto più fier, quanto più giusto.
 Aimè! Mal con ragion si accorda amore;
500né a suo piacer sempre disama un core.
 
    Per non voler più amar
 so che sospirerò.
 
    Ma dopo il sospirar,
 avrò riposo e pace
505e più non amerò.
 
 Ballo di pittori, con cui termina l’atto primo.